Poesia e destino. La sete di Antonia Pozzi

di Massimiliano Mandorlo | 22 ottobre 2018

La poesia della Pozzi è espressione di un’anima sofferta e vertiginosa, assetata di Dio. Il destino della sua poesia è forse quello di accettare la sofferenza come cammino necessario per ritrovare la foce del proprio desiderio, tenendo fisso lo sguardo verso l’alto anche nelle contraddizioni dell’esistenza: “Ma sul lento / tuo andar di fiume che non trova foce, / l’argenteo lume di infinite / vite – delle libere stelle / ora trema”. Di questa sete incessante la Pozzi è viva testimone, se ciò che resta agli uomini è ritrovare l’origine di tale desiderio sorgivo: “A te resta / questa che il vento ti disvela / pallida strada nella notte: / alla tua sete / la precipite acqua dei torrenti”.
Nel suo recente Elogio della sete il teologo e poeta portoghese José Tolentino Mendonça descrive con lucida intelligenza i caratteri della sete, in un appassionato viaggio attraverso Bibbia, letteratura e poesia. La sua è una vera e propria indagine antropologica sul valore della sete nel mondo contemporaneo:
La sete è un patrimonio biografico che siamo chiamati a riconoscere e ringraziare. È con noi fin dall’infanzia, accompagna i nostri anni di formazione, irrompre in modi diversi durante la vita adulta, matura al nostro stesso ritmo, invecchia, cambia nome e senso, e rimane. La sete è il tornio del vasaio in cui Dio ci plasma, è il cavo delle amorevoli mani di Dio che speranzosamente cercano forme nuove per dire la vita, è la pelle di Dio che tocca quel vaso che noi siamo. (José Tolentino Mendonça, Elogio della sete, Vita e Pensiero 2018, p. 37)
Così anche la poesia della Pozzi sembra ricordarci di non ignorare la natura della nostra sete: di concederle il tempo e lo spazio necessari perchè prenda forma, illumini il nostro destino.

Un destino

Lumi e capanne
ai bivi
chiamarono i compagni.
A te resta
questa che il vento ti disvela
pallida strada nella notte:
alla tua sete
la precipite acqua dei torrenti,
alla persona stanca
l’erba dei pascoli che si rinnova
nello spazio di un sonno.
In un suo fuoco assorto
ciascuno degli umani
ad un’unica vita si abbandona.
Ma sul lento
tuo andar di fiume che non trova foce,
l’argenteo lume di infinite
vite – delle libere stelle
ora trema:
e se nessuna porta
s’apre alla tua fatica,
se ridato
t’è ad ogni passo il peso del tuo volto,
se è tua
questa che è più di un dolore
gioia di continuare sola
nel limpido deserto dei tuoi monti
ora accetti
d’esser poeta.